1 Cantico dei Cantici, di Salomone.
2 Mi baci con i baci della sua bocca!
Sì, migliore del vino è il tuo amore.
3 Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza,
aroma che si spande è il tuo nome:
per questo le ragazze di te si innamorano.
4 Trascinami con te, corriamo!
M’introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo di te,
ricorderemo il tuo amore più del vino.
A ragione di te ci si innamora!
5 Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come le cortine di Salomone.
6 Non state a guardare se sono bruna,
perché il sole mi ha abbronzato.
I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
mi hanno messo a guardia delle vigne;
la mia vigna, la mia, non l’ho custodita.
7 Dimmi, o amore dell’anima mia,
dove vai a pascolare le greggi,
dove le fai riposare al meriggio,
perché io non debba vagare
dietro le greggi dei tuoi compagni?
L’amore che accende il desiderio
Il Vangelo dei desideri è il tema che affronteremo nel corso degli incontri di quest’anno. Dopo aver riflettuto insieme sulla sobrietà, su ciò che è essenziale, siamo ora invitati a “mettere in moto” una componente importante per la nostra vita di fede: il desiderio. Non basta conoscere ciò che è bene, ma bisogna anche desiderarlo, impiegare tutti noi stessi nella ricerca dell’Unico Bene.
Che cosa significa desiderare? quale idea abbiamo noi del desiderio e come ci rapportiamo con i nostri desideri? Quali sono i desideri che animano il nostro quotidiano? In senso etimologico è una parola che deriva da “de”- prefisso che esprime mancanza- e “sidera”, stelle, tale termine esprime una mancanza e insieme un’attrazione verso ciò che è infinito, verso il Cielo. De sidereus è attesa del mondo altro, spazio aperto alla meraviglia di un dono, il “desiderante” è colui che ha lo sguardo rivolto verso l’alto. Nell’antichità i desiderantes erano i soldati che attendevano nella notte al loro posto di guardia il ritorno dei commilitoni dal campo di battaglia. Questo pone in rilievo due aspetti del desiderio:
- la mancanza e insieme la ricerca
- l’attesa
Il desiderio è una spinta che mette in movimento e nello stesso tempo ci educa ad attendere, esso motiva e spinge all’azione coinvolgendo l’uomo in tutte le sue componenti emotive, affettive e razionali, ne orienta tutta la vita. E’ la componente dinamica dell’amore che conduce ad uscire da noi stessi per andare in cerca dell’amato e di ciò che è il suo vero bene.
Il desiderio esprime anche la creaturale incompiutezza dell’uomo in cammino verso la pienezza: “Ci hai fatti per te Signore il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (S. Agostino). Il desiderio di Dio è iscritto nel cuore dell’uomo perché egli è stato creato da Lui e per Lui, la sua piena realizzazione è nell’incontro con il Signore, nella comunione con Lui. “ La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio, creato per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato”. (Gaudium et spes, 19) L’immagine di Dio è impressa nell’uomo anche se deformata da peccato originale, essa è tuttavia “restaurata” dal sacrificio di Cristo, dal suo Corpo e Sangue costantemente donati a noi. La creazione stessa porta in sé questo desiderio di pienezza e redenzione, essa geme e soffre finché Cristo non sia tutto in tutti (Rm 8,19-27). L’uomo è dunque un essere desiderante, ma anche oggetto del desiderio dell’amore infinito del Signore che sin dalle prime pagine del libro della Genesi è alla ricerca della sua creatura: “Adamo dove sei?” (Gen 3,9). Tutta la Scrittura è attraversata dal desiderio: quello di Dio che ama e cerca l’uomo e il desiderio dell’uomo di amare ed essere amato, la Bibbia inizia infatti con la già citata domanda di Dio rivolta all’uomo e termina con l’invocazione struggente della sposa, l’umanità che nello Spirito invoca: “Maranathà, vieni Signore Gesù” (Ap 22,20). Gesù stesso esprime il desiderio di amare l’umanità, di attrarla a sé (Gv 12,32), di accendere il fuoco del suo amore sulla terra (Lc 12,49), di mangiare la Pasqua con i suoi (Lc 22,15).
Nella lingua ebraica due radici denotano l’atto del desiderare (‘wh e hmd) esse presentano due sfumature diverse: la prima ha come soggetto la parola che significa alito (nefes) essa tende ad esprimere il movimento del desiderio, la sua acutezza a partire dalla forza vitale mettendo in evidenza la componente affettiva ed emotiva. La seconda radice esprime la tensione che conduce all’azione per realizzare o ottenere il contenuto del desiderio. Le circostanze e le modalità in cui queste usate precisano la motivazione, l’intensità e gli effetti del desiderare. Vi sono desideri buoni che conducono al bene, a Dio stesso ( “O Dio tu sei il mio Dio, di te ha sete l’anima mia” Sl 63) e desideri che ci deviano: sono i “desideri cattivi che fanno guerra all’anima”(1Pt 2,11) dettati dalla bramosia e dalla concupiscenza (1Gv 2,16). L’uomo infatti è tentato di desiderare per sé stesso, per soddisfare le proprie passioni e in questo modo allontanarsi da Dio, è il caso del peccato delle origini: “allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”(Gen 3,6), o della brama di cibo del popolo nel deserto (Nm 11) ad esempio. San Paolo nella lettera ai Galati (Gal 5,6) distingue i desideri della carne da quelli dello Spirito che portano frutti di vita e ci esorta: “aspirate ai carismi più grandi! Di tutti più grande è la carità”(1Cor 12,31.13,13). Bisogna dunque discernere i nostri desideri, ciò che li muove, e orientarli al bene.
Il 9° e 10° Comandamento non sono semplici “divieti”, ma norme da seguire per purificare il cuore e dirigerlo verso il vero Bene, Gesù stesso li riprenderà portandoli a compimento nel Discorso della montagna (Mt 5 27-48). La Legge, in senso biblico, non è un limite posto a un desiderio ma un pegno di alleanza e norma di quell’agire che solo consentirà di dare forma al desiderio. Vi è infatti un rapporto tra il desiderio, l’amore, e la legge poiché essa ci dice cosa dobbiamo fare, come vivere per raggiungere ciò che desideriamo nel profondo, la comunione con Dio. Questo è vero anche per quanto riguarda il nostro vissuto quotidiano, se desideriamo qualcosa siamo disposti ad accettare le regole necessarie per conseguire l’oggetto del nostro desiderio ad esempio sul lavoro, in famiglia.
Desidero il Signore? un rapporto di comunione con Lui, vivere come Lui ha vissuto? Sono disposto a lasciare i miei desideri, i miei progetti e accogliere il suo desiderio e progetto?
La Legge ci dice che se desideriamo tutto questo dobbiamo vivere secondo i precetti del Signore, ascoltarne la Parola, cercare la sua volontà, alimentare il nostro amore per Lui attraverso i sacramenti, la preghiera: tutto questo sostiene e rende vero il nostro desiderio. San Bernardo considera il desiderio il mezzo con cui l’anima cammina incontro al Signore: “Dio non si cerca con i passi dei piedi ma con i desideri, la felicità di averlo trovato, il desiderio santo … esso è olio che alimenta la lampada perché il desiderio è una fiamma” (In Cant. 84,1).
Ciò che accende il desiderio è l’amore lo abbiamo ascoltato nella lettura iniziale tratta dal Cantico dei cantici. In questo piccolo libro della Scrittura troviamo espresso in modo intenso la dinamica del desiderio-amore, amore che chiede di imprimersi come un sigillo (Ct 8,6) forte e tenace, amore che scompare dentro notti difficili da attraversare, che si nasconde dietro muri, chiavistelli e finestre, per lasciarsi scoprire lì fermo al punto di partenza; amanti che si perdono per poi trovarsi di nuovo. Cantico dei cantici (Shir Hasshirim): il cantico più sublime, così definito questo libro che da sempre ha affascinato per la sua intensità, è un poema dai toni lirici e immagini coinvolgenti, profumi e colori, pur rifacendosi a figure che evocano l’amore umano, lo sposo e la sposa, esso ricorda da vicino nei suoi paradossi il Santo dei santi a cui la tradizione rabbinica lo ha rassomigliato sin dall’antichità: “il mondo intero non vale il giorno in cui il Cantico dei cantici è stato donato a Israele, poiché tutti gli scritti sono santi ma il Cantico dei cantici è il santo dei santi”(Rabbi Aqiba, 200 d.C.): le radici di quest’affermazione sono da rintracciare nell’uso allegorico che l’Antico testamento fa della figura dell’amore nuziale, assunta ad immagine della relazione tra Israele e il suo Dio (Os 2; Ger 2; Is 62, 4-6; Ez 16, per citare alcuni esempi). Su questo sfondo l’allegoria legge nel Cantico l’espressione dell’amore tra il popolo- presentato come la sposa- e il Santo che assume le vesti del diletto. Anche nel Nuovo Testamento è presente la simbologia sponsale: Cristo è lo sposo (Lc 5,34), la Chiesa la sposa (Ef 5,25-32), il Regno dei cieli è indicato come un banchetto di nozze (Mt 9,15; 22,2; 25,1). Infine la lettura mistica vede nel Cantico la celebrazione dell’amore nuziale tra l’anima e Cristo.
Il Cantico rivela un Dio che parla il linguaggio degli innamorati, sposo e sposa che dialogano, si cercano e perdono, si ammirano e desiderano, amore che conosce l’estasi e il buio. Questo libro è come una grande parabola che racchiude tutta la bellezza e la poesia dell’amore, di quell’Amore fontale da cui trae origine ogni cosa e al quale ogni creatura anela a tornare per immergersi nella sua beatitudine. Emerge dal Cantico che l’amore ha continue vicissitudini, esso spinge ad un’instancabile ricerca che anela alla presenza dell’amato, e nello stesso tempo è esperienza di un’assenza poiché l’amore non può essere mai totalmente posseduto, le notti e i giorni si alternano con tutta la sua drammaticità e l’intensità dei sentimenti. “Dimmi tu che ama l’anima mia..dove vai?”: l’innamorata vuole sapere da lui quali strade percorre, quali luoghi raggiunge per la sosta del meriggio, è disposta ad affrontare piste infuocate (il caldo del mezzogiorno in oriente), e la notte con i suoi pericoli: “mi alzerò farò il giro della città” l’innamorata cerca, sfida il buio, i condizionamenti culturali, viene sorpresa dalle guardie, la sua ricerca appare vana, ma lei non desiste: stanchezza e delusione potrebbero indurre a desistere, ma l’amore vero non si spegne, continua a cercare ed attendere colui che ama, nella prova viene purificato per poi accendersi con maggiore intensità. L’amore è sempre attento a cogliere la bellezza dell’amato.
La dinamica della ricerca presente nel Cantico rivela che c’è una legge che regola il desiderio e l’amore ed è quello dell’uscita da sé stessi: l’innamorata esce, si alza, va in cerca … tutti verbi che indicano non solo movimento ma anche la disponibilità a “scomodarsi”, a lasciare le proprie sicurezze e pretese, ad affrontare anche la prova e la sofferenza, come ha fatto il Signore Gesù, Egli ci ha amati e ha dato sé stesso per noi (Gal 2,20). Quali strade percorriamo noi? Chi cerchiamo? Che cosa significa per noi amare? siamo disposti ad affrontare “il sole del mezzogiorno” e la notte con la sue oscurità? Siamo disposti a rischiare per Dio? Ogni desiderio, anche quelli “ più santi”, attraversa il crogiolo della purificazione solo così la nostra vita può unificarsi attorno a Colui che è il sommo bene, tutto il bene. “Nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci diletti se non il Creatore, Redentore e Salvatore nostro” (Rnb 23,9; FF 70): san Francesco è stato definito da san Bonaventura uomo dei desideri, proprio perché il desiderio, vissuto in tutta la sua interezza e intensità, occupa un posto rilevante nella vita del santo. Egli si lascia condurre e vive una progressiva purificazione e conversione del desiderio sin dagli anni giovanili quando aspirava a divenire cavaliere e uomo valoroso, il sogno di Spoleto e il successivo incontro con il Crocifisso di san Damiano, orienteranno i suoi desideri e tutta la sua vita verso il Signore e una progressiva unificazione con l’Amato. “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!”
(FF 356) quest’affermazione decisa ed entusiasta dopo aver ascoltato il Vangelo dell’invio dei discepoli, caratterizzerà tutta la vita di Francesco. E’ negli scritti dove incontriamo il cuore di Francesco, egli insiste molto sulla necessità di null’altro volere, indicando così non solo l’intensità del suo amore, che vuole imitare l’Amato e farsi uno con Lui, ma anche la ferma decisione, e l’importanza di dirigere continuamente il cuore, la mente e le azioni al Signore perché noi siamo deboli e inclini al male. L’anima fedele è chiamata a divenire sposa (FF178,2; 200-201), a congiungersi con Cristo, tutto questo si realizzerà nella vita del nostro santo con l’impressione delle stimmate quando “rapito in Dio con ardore di serafico desiderio” fu trasformato nell’immagine di Colui che per tutta la vita aveva sommamente amato e cercato (FF1225-1226). Anche nella vita di santa Chiara la dinamica desiderio-amore-sponsalità è presente in modo rilevante, numerose sono le citazioni nei suoi scritti del Cantico dei cantici soprattutto nella quarta lettera ad Agnese di Praga dove emerge maggiormente il desiderio di lasciarsi bruciare dall’ardore della carità che è Gesù stesso (FF 2906). Per Chiara Cristo è lo sposo da contemplare, imitare, raggiungere (FF 2879). Affinchè la sposa sia bella e degna dell’Amato è necessario che si adorni di tutte le virtù (FF 2902): questi sono i veri monili che rendono la sposa pronta e bella per il suo sposo. La vita di Chiara è un continuo desiderio di questo amore che per noi si è fatto povero e crocifisso, desiderio che si fa preghiera, contemplazione e imitazione dell’Amato. Quanto detto della vita di Francesco e Chiara è vero anche per noi: possa la nostra vita diventare uno con Cristo sposo e di essere un continuo ricordo del suo amore (Ct 1,4; FF 2915).